Parigi — Per quanto possa sembrare impossibile, Gary Trotman, si sta chiaramente divertendo. Ci troviamo nell’ex palazzo della Borsa, mentre intorno a noi si svolge non senza chiasso lo Huawei eco-Connect Europe 2016. Una conferenza che il gigante cinese ha organizzato per riunire tutti player dell’ecosistema ICT europeo e farli confrontare su molti e diversi temi, dalla Business Innovation alla cybersecurity, passando per IoT, Finance, Storage e ogni altro servizio abilitato dalle potenti infrastrutture di cloud computing.
NetBin il sensore che ti dice se il cassonetto dell'immondizia è pieno (Foto: Alessio Jacona)
Trotman è solutions marketing manager IoT/M2M per Huawei, e deve continuamente alzare la voce mentre spiega ai giornalisti vantaggi e meraviglie del NarrowBand IoT (NB-IoT). Sarebbe una situazione stressante per chiunque, ma non per lui. Mentre parla, emergono tanto la sua passione, quanto l’orgoglio per i risultati ottenuti in tre anni di lavoro spesi a “mettere insieme i molti e diversi player che devono lavorare insieme”. Già, perché per far funzionare il NB-IoT, tecnologia radio a basso consumo capace di connettere praticamente qualsiasi oggetto alla rete, di attori ne servono parecchi: serve mettere d’accordo e integrare i fornitori di chipset, i produttori di moduli, di device, di applicazioni, e ovviamente i gestori dei network. Insomma, non è un caso se la parola più ricorrente, l’hashtag più significativo dell’eco-Connect Europe 2016, sia stato proprio “ecosistema”: delle competenze, degli standard, dei player.
Trotman ci conduce davanti a un lungo tavolo bianco dove sono in mostra diversi gadget. Il primo che solleva è un minuscolo chipset che a malapena copre la punta del suo dito: “La ragione per cui è così piccolo è che quando si sviluppa hardware per NB-IoT si prende un chipset tradizionale con connettività 2G/3G e lo si spoglia della maggior parte delle funzionalità, di quella ‘intelligenza’ che diventa ridondante quando si deve far funzionare dei semplici sensori”, ci spiega. “Ciò che resta è un sistema capace di inviare pacchetti di informazioni non più grandi di 200 kilobyte ciascuno”.
Può sembrare poco, ma in realtà è più che abbastanza se a trasmettere è per esempio un sensore di umidità alimentato a energia solare e infilato nel terreno di una serra, oppure un sistema di monitoraggio che invia un segnale quando il cassonetto dell’immondizia è pieno.
E poi ancora il collare di un animale domestico che ne monitora la posizione, o il sistema capace di leggere (e quindi rendere digitali) i vecchi contatori dell’acqua “ascoltando” e contando gli scatti dei loro meccanismi. O persino il sensore da inserire nell’asfalto di un parcheggio (oppure da appoggiare sul manto stradale, per soluzioni temporanee), grazie al quale è possibile rilevare a distanza se il posto è occupato o no.
Non sono solo ipotesi. Gli oggetti in questione esistono già e sono tutti sul tavolo presidiato da Trotman. Usciti dalla fase sperimentale, alcuni sono già in vendita in alcuni mercati, altri lo saranno nel 2017, quando il gigante cinese inizierà la commercializzazione su larga scala delle sue soluzioni NB-IoT end-to-end. Intanto Gary Trotman li solleva e li mostra uno a uno per esemplificare tanto l’uso della tecnologia in questione, quanto l’efficacia della collaborazione tra Huawei e gli altri operatori del settore, piccoli e grandi che siano.
Se si può rendere smart praticamente qualsiasi cosa, allora la fantasia diventa l’unico limite. Anche perché il Narrow Band IoT risolve anche un altro fondamentale problema: non intasa le reti mobili. “Grazie alle specifiche hardware estremamente semplificate”, conferma Trotman: “Questi chipset non solo trasmettono ridotte quantità di dati, ma occupano una ridottissima porzione di banda”. Il risultato è che, se a una normale stazione radio base si possono connettere al massimo circa 5mila smartphone contemporaneamente: “nel caso del NB-IoT il numero sale a oltre 100mila”.
In più, quella di cui parliamo è una tecnologia basata su standard condivisi, quindi aperta e sfruttabile da tutti. Si prende il chipset, lo si inserisce nel modulo, se necessario si integra il modulo in hardware più complesso, si sviluppa l’applicazione e il gioco è fatto.
Vista la cronaca degli ultimi giorni — e in particolare dell’attacco a Dyn che ha messo fuori uso mezza Rete — una domanda sulla sicurezza dei dispositivi viene spontanea. “I nostri sistemi si basano su soluzioni sia hardware sia software che vengono applicate in ogni punto nevralgico del network”, spiega David Hoelscher, IoT Platform Marketing Director per Huwaei. “A partire dal mondo reale, dove per esempio i dispositivi utilizzati in ambito industriale sono dotati di sensori per il rilevamento e la segnalazione delle manomissioni, per arrivare alle tecnologie software di gestione remota dei device IoT, che in tutti i nostri dispositivi sono protette da cifratura secondo lo standard AES 128”.
I player, ovvero i produttori dei chipset, dei moduli, dei gadget, delle app o ancora gli operatori telefonici (Huawei ha sviluppato accordi anche con Telecom Italia in questo senso), creano insieme i prodotti e poi possono decidere di vendere autonomamente o in collaborazione tra di loro, all’interno di quello che si configura come un vero e proprio open market. Per definire meglio il contesto, Trotman usa la metafora della pasticceria: “I cuochi si riuniscono intorno al tavolo, ognuno porta i suoi ingredienti, insieme si prepara e cuoce la torta, poi si vede come spartirne e distribuirne le porzioni”.
Che a giudicare dalle rosee previsioni per il mercato IoT, saranno miliardi e invaderanno il mondo.
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Fonte: http://www.wired.it/internet/tlc/2016/10/31/come-si-sviluppa-rete-dedicata-allinternet-of-things/
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