È decisamente troppo presto per dargli un nome. Soprattutto perché ancora non siamo neanche certi che esista. È per questo che la scienza, in modo del tutto provvisorio, lo ha chiamato Pianeta Nove: si tratta infatti di un ipotetico corpo celeste che potrebbe trovarsi al di là – molto al di là, per dirla tutta – dell’orbita del pianeta Nettuno, il più esterno del Sistema solare (a titolo di cronaca, ricordiamo infatti che Plutone, un tempo classificato a sua volta come nono pianeta, ha perso il suo status nel 2006 per entrare nel novero dei pianeti nani: al momento, dunque, i pianeti che siamo certi orbitino attorno al Sole sono otto). Sempre posto che esista per davvero, il Pianeta Nove – o Nibiru, come lo chiamano alcuni: ci arriveremo tra poco – sarebbe una specie di super-Terra, con diametro e massa, rispettivamente, quattro e dieci volte superiori a quelle del nostro pianeta, e un periodo orbitale pari a circa 15mila anni terrestri. Recentemente, il Pianeta Nove è tornato all’onore delle cronache: uno studio presentato al congresso dell’American Astronomical Society, a Pasadena, infatti, sembra collegare la presunta esistenza del corpo celeste a una leggera (e finora inspiegabile) inclinazione del piano orbitale dei pianeti del Sistema solare rispetto al Sole stesso. Stando ai calcoli di Michael Brown, uno degli autori del lavoro, il lontanissimo Pianeta Nove si comporterebbe come un peso posto su un lungo braccio di una bilancia, spostando leggermente tutti gli altri pianeti (idealmente posti sull’altro piatto della bilancia) nella propria direzione.
Ma andiamo con ordine. I primi indizi della possibile esistenza di un corpo celeste che orbitasse molto in là rispetto a Nettuno sono arrivati nel 2012, quando Scott Sheppard, astronomo alla Carnegie Instiution of Science, e Chadwick Trujillo, della Northern Arizona University, iniziarono a osservare le regioni più distanti del Sistema solare, mettendo insieme le informazioni provenienti da telescopi terrestri, telescopi in orbita e camere montate su sonde e satelliti. La ricerca svelò l’esistenza di diversi corpi celesti – poi ribattezzati oggetti trans-nettuniani, o Tno – composti principalmente di rocce, ghiaccio e metano solido, dal diametro variabile tra 200 e 400 chilometri.
Uno di questi, in particolare, colpì l’attenzione degli astronomi, come raccontano in una lettera pubblicata su Nature. Lo chiamarono 2012 VP113 o, più confidenzialmente, Biden. La caratteristica più bizzarra di Biden era il fatto che questo, assieme ad altri corpi simili, sembrava orbitare in modo estremamente irregolare. La causa del fenomeno non poteva essere la forza gravitazionale esercitata da Giove, Saturno, Urano o Nettuno, perché troppo lontani. Forse, poteva esserci qualcos’altro. Un altro pianeta, per esempio: Trujillo e Sheppard mostrarono, tramite simulazioni al computer, che un pianeta di massa compresa tra le 2 e le 15 masse terrestri, orbitante tra 200 e 300 unità astronomiche (un’unità astronomica è la distanza media tra Terra e Sole, pari a circa 150 milioni di chilometri. Per un confronto, si tenga conto che Nettuno dista dal Sole circa 30 unità astronomiche), avrebbe potuto produrre, con buon grado di attendibilità, le anomalie riscontrate nell’orbita di Biden e dei suoi simili.
La ricerca, naturalmente, non si è fermata. A giugno 2014, gli astronomi Raúl e Carlos de la Fuente Marcos, in un articolo pubblicato prima su ArXiv e poi sui Monthly Notices of the Royal Astronomical Society Letters, postularono che l’unico modo per spiegare l’orbita di altri oggetti trans-nettuniani da loro scoperti fosse, ancora una volta, la presenza di un pianeta molto massivo – ed estremamente lontano – ancora non rilevato dai telescopi.
Un indizio ancora più significativo arrivò a gennaio 2016, quando gli astrofisici Konstantin Batygin e il già citato Michael Brown, del California Institute of Technology, pubblicarono sulle pagine dell’Astronomical Journal un lavoro dal titolo “Evidenze di un pianeta gigante e distante nel Sistema solare”. Nello studio, Batygin e Brown analizzarono nuovamente tutti i dati di Trujillo e Sheppard, notando che tutti gli assi delle orbite degli oggetti trans-nettuniani cadono nello stesso quadrante del cielo, ovvero, in parole più semplici, che tali oggetti puntano nella stessa direzione. E, ancora più importante, le orbite di questi oggetti erano strettamente allineate: “Non posso credere”, commentò allora Brown, “che finora non l’avessimo notato. È ridicolo: eravamo sepolti dai dati e li guardavamo troppo da vicino: non avevamo ancora provato a guardarli più dall’esterno. Lo avremmo notato subito”.
Perché si tratta di un’osservazione così importante? La direzionalità e l’allineamento delle orbite sono un forte indizio della presenza di un oggetto che, con la propria forza gravitazionale, influenza il movimento degli oggetti trans-nettuniani. Anche perché le altre possibili spiegazioni – per esempio il fatto che tali oggetti si fossero aggregati su un’orbita comune in seguito alla disintegrazione di un unico oggetto orbitante nella cosiddetta fascia di Kuiper, una zona ricca di asteroidi – si sono rivelate, in seguito ad altre simulazioni, estremamente improbabili.
Al momento, dunque, l’esistenza di un super-pianeta resta l’ipotesi più plausibile. Altro discorso, naturalmente, è osservarlo direttamente: le stime di Batygin e Brown hanno individuato un settore di cielo delle dimensioni di circa 1500 gradi quadrati (si consideri che la Luna vista dalla Terra, per confronto, occupa circa 0,2 gradi del cielo), ancora troppo grande perché le ricerche possano essere fruttuose.
Gli sforzi attuali degli scienziati, dunque, sono concentrati sulla riduzione dell’area di ricerca: come racconta Scientific American, per esempio, le nuove simulazioni (non ancora pubblicate) di Batygin e Brown hanno ristretto la possibile posizione del Pianeta Nove a un’area di circa 600 gradi quadrati. Gli scienziati, in particolare, hanno modellizzato i movimenti dei corpi del Sistema solare nel corso di 4 miliardi di anni, cercando di concentrarsi sulle dinamiche gravitazionali che legano i grandi pianeti come Giove, Saturno, Urano, Nettuno e, per l’appunto, l’ipotetico Pianeta Nove, ai corpi che popolano la fascia di Kuiper. E i risultati di quest’analisi sembrano essere molto promettenti: “Nel nostro lavoro”, ha spiegato Batygin, “abbiamo cercato di mettere a punto un modello di Sistema solare che somigliasse il più possibile a quello reale. Inserendo il Pianeta Nove abbiamo ottenuto risultati molto vicini a quelli risultanti dalle osservazioni”.
Un’altra strada potrebbe essere quella di studiare l’influenza gravitazionale esercitata dal misterioso pianeta su altri corpi celesti, come ad esempio le comete: Yuri Mevdevev e Dmitri Vavilov, dello Institute of Applied Astronomy alla Russian Academy of Sciences, per esempio, hanno studiato le traiettorie di 768 comete del Sistema solare, concentrandosi in particolare sulle cinque che sono transitate più vicino alla regione che dovrebbe essere occupata dal Pianeta Nove. La loro analisi, presentata nel corso di un meeting dell’American Astronomical Society, sembra per l’appunto suggerire che “forse il Pianeta Nove ha fatto sì che tali comete siano entrate nel Sistema solare. Siamo convinti che studiando le comete potremo individuare la posizione del pianeta”.
Ci sono, purtroppo, anche segnali meno incoraggianti. Un’analisi dell’orbita di Plutone, eseguita da Matthew Holman e Matthew Payne, dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, non è per esempio riuscita a trovare evidenze che confermino o smentiscano l’ipotesi dell’esistenza del Pianeta Nove. Accanto a tanta produzione scientifica non poteva mancare – abbastanza prevedibilmente, visto anche l’argomento – la consueta proliferazione di bufale più o meno apocalittiche.
Nell’aprile scorso, in particolare, i complottisti si sono divertiti ad accostare il Pianeta Nove a Nibiru, il corpo celeste inventato dallo scrittore Zecharia Sitchin in seguito a una libera interpretazione di antichi testi sumeri. Il tabloid britannico The Sun aveva rincarato la dose, sostenendo che “il misterioso pianeta che ha già spazzato la vita sulla Terra in passato lo potrebbe fare di nuovo questo mese”. Fortunatamente, niente di vero (tanto che siamo ancora qui a raccontarlo): si tratta, come ha spiegato l’astrofisico e debunker Phil Plait, di una bufala costruita ad arte dal giornale. La periodicità delle estinzioni di massa non è infatti stata mai confermata, e comunque non è mai stata legata con certezza a eventi astronomici. A raffreddare gli animi, comunque, ha pensato lo stesso Brown, una volta per tutte: a quanto pare, dovremo rassegnarci e attendere un pianeta dieci.
I need to create a twitter robot which, every 15 minutes, tweets: “Thanks for asking! No, Planet Nine is not going to destroy the earth.”
— Mike Brown (@plutokiller) 10 aprile 2016
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Fonte: http://www.wired.it/scienza/spazio/2016/11/04/tutto-pianeta-nove/
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